Gli adulti giocano per soffrire non per divertirsi

Gli adulti giocano per soffrire non per divertirsi

Gli adulti giocano per soffrire non per divertirsi

Come scrive Johan Huizinga il gioco è più antico della cultura e noi giochiamo tutta la vita, ma gli adulti giocano per soffrire non per divertirsi. Quando si smette di divertirsi giocando per soffrire?

Cerco di spiegarmi meglio perché questa è una cosa piuttosto complessa. Partiamo dall’affermazione di Huizinga, il gioco è più antico della cultura. Il concetto di cultura presuppone in ogni modo la presenza dell’uomo, tuttavia gli animali non hanno atteso che l’uomo insegnasse loro a giocare.

Gli animali giocano tra di loro a tutte le età e tutte le caratteriste del gioco le possiamo ritrovare in quello degli animali, come in quello dell’uomo.

C’è da fare un distinguo però, gli animali giocano a tutte le età, come dicevo nel paragrafo precedente, ma l’uomo ad un certo punto smette di farlo. Questa è un’affermazione condivisa e condivisibile da molti, anche se totalmente incorretta.

A livello culturale il riso è legato al gioco, alla goliardia ed è accettato solo in momenti o aree designati. Questo dipende dalla cultura, che dicevo non avere legame col gioco, nel tempo si è fatto un gran discorrere sul gioco e, conseguentemente, sul riso. Alla fine quello che è arrivato a noi è solo un brutto retaggio culturale che vede l’uomo adulto a disagio in quelle attività giocose che, solo l’uomo, ritiene prerogativa dei bambini.

Seguendo questo filo logico le persone sono fortemente a disagio quando giocano, per divertimento e riso, e giudicano stupidi quelli che lo fanno.

Gli adulti giocano per soffrire non per divertirsi

Gli adulti giocano per soffrire non per divertirsi

A differenza di quanto detto finora l’uomo continua a giocare per tutta la vita, un gioco diverso, non come quello degli animali o dei bambini. Un ‘gioco’ che non serve a divertirsi, ma a soffrire.

Il gioco di cui parlo non deve essere interpretato in base al significato che diamo a questa parola, non ha niente di divertente, anzi tutt’altro.

Questi giochi sono fenomeni transazionali talmente importanti che per trattarli tutti ed in maniera esaustiva Eric Berne a dedicato ad essi un intero libro.

Tutti i giochi prendono origine da quello infantile “il mio è meglio del tuo”. Questo gioco, nei bambini come nell’uomo, serve ad alleggerire il peso che si prova in seguito alla posizione di vita NON OK.
E’ un attacco difensivo poiché il vero pensiero inconsapevole è “non sono bravo quanto te” e serve a mantenere l’omeostasi emotiva.

In Analisi Transazionale il gioco è “una serie progressiva di transazioni ulteriori complementari rivolte ad un risultato ben definito e prevedibile“.

Ops che cosa ho detto?! Vogliamo fare un esempio?

Le persone hanno disegnato un copione di vita dove loro hanno una parte precisa, recitano quella parte. La sfiga, la bruttezza, l’emarginazione, l’incomprensione, il non amore etc.
In qualche modo mettono in atto una serie di comportamenti atti a confermare questo copione. Queste interazioni si chiamano appunto giochi.

Se credi che in amore nessuno ti capisca e trovi sempre le persone sbagliate farai di tutto per ottenere un rifiuto. Il gioco ha con se una ricompensa o tornaconto, si chiama così, ma non vale niente poiché fa soffrire. La ricompensa sta nel poter dire: “ecco io trovo sempre le persone sbagliate che non mi amano

E’ possibile uscire da questo loop perverso? Certo non è facile, ma è piuttosto semplice.

L’unica cosa che tu devi sapere è che non puoi farlo da solo, hai bisogno di una mano.

 

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